Una cosa è incontrovertibile: l’estate sta finendo e un anno se ne va. Bon.
Del resto non v’è certezza.
Sì vabbe’, una certezza è stata data da cosa ci ha regalato negli scorsi mesi la calda stagione, dove una volta di più si sono fatti sentire gli effetti del cambiamento climatico, regalandoci due bolle di calore difficili da dimenticare, e un paio di bombe d’acqua che per fortuna non ci hanno provocato i danni che altri hanno dovuto subire. Ma certe notti insonni, tra sudorazioni e preoccupazioni, continuiamo ad averle ben stampate nella memoria. In alcuni momenti il desiderio più forte è stato quello di voler vedere finire in fretta quella roba che chiamiamo ancora estate ma che assomiglia sempre di meno a ciò che s’affaccia ai nostri ricordi d’antan.
Per la carità, c’è stato ancora il tempo delle partenze, di città vuote, d’ombre metafisiche, ma il tutto è stato condensato nel breve volgere d’una settimana attorno a Ferragosto. Il resto l’ha dettato il portafoglio. C’è da ridere amaro nell’ascoltare o leggere le stime legate all’inflazione assestatasi attorno al 7,6 %: la reale situazione ci dice di percentuali ben oltre il 20% e di prezzi al dettaglio raddoppiati. È un mistero cercare di capire come molte famiglie abbiano trovato le risorse per concedersi qualche giorno di vacanza con il costo del carburante schizzato attorno ai 2 euro al litro ( persin patetico lo sterile, inutile tentativo del ministro Urso di imporre nei distributori i subito desaparecidi cartelli indicanti il prezzo medio…) e i costi folli per una sola giornata in uno stabilimento al mare. Alla faccia dei ”balneari”.
La paura che l’estate stia finendo, dunque, non è legata al fatto che stiamo diventando grandi e la cosa non ci va, quanto al fatto che siamo diventati tutti più poveri.
Il ceto medio qualcuno l’ha più visto? Pare che di noi non gliene freghi più niente a nessuno. Eppure eravamo in tanti, eravamo quelli che sostenevano l’economia del Paese, che garantivano la stabilità del sistema, che con certe scelte politiche permettevano che tutto fosse a posto e niente in ordine.
Come ha ricordato però Dario Di Vico sul Corriere qualche settimana fa: “I sistemi elettorali da centripeti si sono trasformati in centrifughi e la propaganda degli attori politici si è rivolta a un altro tipo di elettore, più insicuro e infedele ma capace di far sentire quotidianamente la sua voce sui social.”
Così l’esercizio della democrazia s’è sviluppato sempre più in ottiche come quelle dettate dalle curve degli stadi, piuttosto che da una dialettica capace di portare un’idea anche minima di dialogo costruttivo .
Ogni questione italica viene trattata da opposte tifoserie, spesso, senza sapere bene che cosa si stia davvero avversando. Ma nel dubbio si avversa.
Può mai essere che la nazione più indebitata dell’ Eurozona passi una buona parte dell’estate non già a discutere a come impiegare i denari del PNRR ma a berciare su un libro di dubbio valore letterario?
L’autunno si sta palesando come il nemico alle porte, con un impoverimento sempre più tangibile per la più parte delle famiglie e stiamo qui a riempire di nulla cosmico le pagine dei quotidiani.
Il guaio è che, per contrastare, all’orizzonte non si profili altro che il ritorno d’un pensiero guida sgangherato: il progressismo che non ha nulla di riformista e innovatore, ma che non fa altro che favorire quel “ liberi tutti” che tanto piace a certi nostri politici social.
Sì, vabbe’…
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