L’ultimo editoriale di questo tribolato 2023 non può prescindere dal recarvi gli auguri più sinceri: che possiate trascorrere serenamente le prossime festività avendo accanto gli affetti più cari, gli unici capaci di stemperare quei pensieri più tristi giù in fondo che ormai da lunghe stagioni ci stanno tenendo ingombrante, scomoda compagnia.
Il desiderio di serenità e di pace è più d’un compagno stabile, ma da un po’ ci rende visita un tarlo, un tormento: ma c’è chi questa pace, questa serenità la vuole davvero?
Tutto sembra dirci invece che, come definirlo?, il sistema abbia bisogno di comunicarci paura, diffidenza, la presenza di un antagonista, d’ un nemico per continuare ad ammorbarci.
Certo, la costante incertezza legata ai sempre più fragili equilibri mondiali non può che indurre a tristezze. Il perdurare dei conflitti indica possibili scenari e futuri distopici.
Nonostante quanto le “veline” dicono, sul piano dell’occupazione e del potere d’acquisto la realtà diverge consistentemente dalla narrazione ufficiale.
Allora, che fare? Le strade sono due: o ci si chiude sempre più a riccio, o si prova a reagire. Già, ma come.
Sì lo so, gli slanci della mia generazione, quelli che ci facevano sperare che avremmo avuto un mondo migliore, soffiando, si sono persi nel vento: blowing in the wind…
“We shall overcome”, abbiamo creduto sul serio che avremmo superato ogni ostacolo, che nulla avrebbe potuto frapporsi tra noi e un futuro di pace, fratellanza, giustizia sociale.
Sappiamo che non è andata proprio così, ma se si vuole provare a ripartire è da lì che occorre, bisogna ricominciare. Sono passati troppi anni, ma quanto scrisse John Lennon in quel manifesto che continua a essere “ Imagine” è da riprendere a vivere e considerare. Proprio ora che stanno tornando, più che mai, di gran moda le guerre per razza e religione. Continuo a credere che senza un paradiso, senza un inferno, con un solo ecumenico cielo sopra di noi, sia la risposta. Vivendo qui e ora.
Se non l’avete ancora fatto, andate al cinema, troverete un parte certa di quello che dev’essere cercato.
Paola Cortellesi nel suo “C’è ancora domani” ha composto uno straordinario affresco popolare.
Portateci i vostri figli. Soprattutto le vostre figlie. Perché sappiano. Perché imparino a conoscere.
Il film è diventato talmente famoso che non ho paura di svelare parte della trama e parte del finale.
Sì, è un film sulla condizione della donna nel primo dopoguerra, ma non solo. Ci ricorda chi eravamo e da dove veniamo: da una serie di culture sbagliate che ancora oggi ci attanagliano e devastano famiglie.
“Creiamo quel clima che favorisce un dialogo sereno perché diventi possibile educare i nostri figli al rispetto della sacralità di ogni persona, a una sessualità libera da ogni possesso e all’amore vero che cerca solo il bene dell’altro”, queste parole sono una piccola parte di quanto il padre di Giulia Cecchettin ci ha regalato durante l’orazione funebre, che devono farci riflettere su come una parte della nostra società sia ancora fortemente intossicata.
Dire che è che colpa della cultura del patriarcato è un modo nuovo per continuare a non voler vedere.
Ciò che purtroppo abbiamo quotidianamente sotto gli occhi è il frutto d’un costante depauperamento morale, culturale ed educativo che ha fatto sì che nella nostra nazione l’evoluzione si trasformasse in molti, troppi campi in regresso.
Se ogni atto è politico, dobbiamo tornare a riprendere le nostre vite con lo strumento che Delia, il personaggio interpretato da Paola Cortellesi ci indica e che la nostra democrazia e la nostra Costituzione, fino a quando la lasceranno in vigore, ci consentono: il voto.
Il nostro destino, il nostro futuro lo possiamo determinare lì e solo lì.
Tutto il resto è una fuga in avanti senza speranza.
E noi di speranza abbiamo disperato bisogno.
Auguri dal più profondo del mio cuore.
Buon Natale
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