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lunedì, Maggio 13, 2024

    Sulle strade dei cavatori di ghiaccio

    Trattiamo in questo articolo un mondo che non c’è più e che forse, tra qualche anno, apparterrà totalmente all’archeologia: ci riferiamo all’universo dei cavatori di ghiaccio. Uomini avvezzi a fatiche oggi difficili da immaginare, il cui lavoro consentiva la conservazione soprattutto dei generi alimentari, in un tempo in cui i sistemi di refrigerazione e condizionamento elettrici, appartenevano ancora alla fantascienza. Un mondo che, come detto, apparterrà all’archeologia poiché i ghiacciai (da cui i cavatori traevano il prezioso elemento) si stanno riducendo a una velocità che impressiona e molti sono destinati a scomparire per sempre.
    Da alcuni di questi giacimenti di gelo, situati nella provincia di Torino (tra i principali ricordiamo il Galambra e Bard), provenivano le scorte per le ghiacciaie pubbliche e private: fondamentali luoghi di conservazione, che hanno donato un po’ di fresco ai nostri avi. Un’importante fonte di approvvigionamento, però in provincia di Cuneo, era situata nel Vallone del Dragonet, nelle Alpi Marittime. Nelle nostrane Valli di Lanzo il prezioso ghiaccio, soprattutto per uso locale, proveniva da una caverna situata sui fianchi del Doubia, sopra Col d’Attia: qui la neve accumulata durante l’inverno, si trasformava in ghiaccio; altri luoghi di estrazione erano costituiti dai canaloni dove si riversavano le valanghe del Monte Rosso d’Ala: negli anni Venti del Novecento un carico di ghiaccio proveniente da quel sito era regolarmente acquistato dal macellaio d’Ala per cinquanta soldi.
    Come già indicato, un noto giacimento di gelo era costituito dal ghiacciaio del Galambra, situato nel versante settentrionale della cresta Peyron, da cui degradava sino alla sottostante conca del lago Galambra (m. 2990). L’impressionante ritiro dei ghiacciai iniziato a partire dalla metà del XIX secolo, rappresenta un segno evidente dell’aumento delle temperature nelle zone alpine: anche al ghiacciaio del Galambra è toccata questa sorte. Infatti, oggi è quasi del tutto scomparso, ma negli ultimi decenni del XIX secolo la sua estensione era ancora notevole: dai suoi oltre tremila metri di quota ha dato il suo piccolo contributo alla storia fornendo ghiaccio a Torino e immediata cintura.


    In quel tempo, l’estrazione del ghiaccio, che richiedeva una manodopera specializzata: era fondamentale attuare le operazioni di estrazione e trasferimento in tempi brevi, per evitare che il prezioso prodotto ritornasse al suo iniziale stato liquido.
    Soprattutto durante il periodo estivo, era urgente e indispensabile reperire gradi quantità di ghiaccio per la conservazione dei prodotti alimentari e farmaceutici, da distribuire ai grandi centri urbani e in particolare a Torino. La strada ferrata che percorreva i fondovalle era il mezzo di trasporto dell’epoca più rapido per le consegne; in Piemonte la Valle di Susa era l’unica vallata dotata di linea ferroviaria che raggiungesse in tempi relativamente brevi le località montane.
    I blocchi di ghiaccio estratti venivano trasportati a valle sino alla stazione ferroviaria più vicina e caricati su vagoni isolati termicamente e agganciati al primo treno in transito diretto in città.
    Il trasporto a valle del ghiaccio era quindi l’operazione più impegnativa, massacrante e pericolosa affidata a pochi montanari del posto, che dovevano lottare contro il tempo per rispettare l’orario ferroviario e contro lo scioglimento del ghiaccio; in genere, si calcolava una perdita media di peso del blocco del quindici per cento nel corso della discesa, perdita determina naturalmente dalla variazione delle temperatura tra l’alta quota e il fondovalle.
    I cavatori di ghiaccio erano reclutati sul posto: normalmente si incamminavo verso i ghiacciai a notte fonda per giungere alla meta alle prime luci dell’alba, con una pensante slitta sulle spalle; sul posto il ghiaccio era tagliato e collocato sulla slitta: generalmente un blocco pesava intorno ai trecento chili! Il gelido carico era bucato in alcuni punti con un trapano a mano e nei fori venivano fatte passare le corde che lo legavano strettamente alla slitta, al fine di evitare sbandamenti nel corso della discesa. La grande slitta (lésa in piemontese), costituita da due pattini uniti da traversine, sui quali è montata l’armatura destinata al trasporto del carico, anche se può sembrare un controsenso, non era usata sulla neve bensì sui sentieri di pietra: infatti costituiva l’unico mezzo di trasporto utilizzabile in tale contesto ambientale. Di fatto l’uomo ne controllava la discesa frenandola e i pattini consentivano di affrontare sentieri impervi evitando i disagi che, in quell’ambiente, avrebbero determinato le ruote.
    Si collaborava per superare con il minor rischio possibile le difficoltà e gli imprevisti lungo tutto il tragitto, sino a giungere al termine della lunga discesa, per poi affidare il traino del carico a un mulo che trascinava la slitta sino in stazione.
    Per favorire la conservazione del prodotto che lentamente ma inesorabilmente si scioglieva, in alcune località furono scavate della ghiacciaie: grotte artificiali, o ottenute adattando anfratti naturali, nei quali il ghiaccio era stipato in attesa di essere smistato. In alcune località delle nostre montagne si trovano ancora resti e tracce di questi siti, antesignani dei nostri frigoriferi: possono essere di dimensioni ragguardevoli, ma in molti casi avevano dimensioni ridotte ed erano utilizzati da singoli gruppi familiari, o piccole comunità. Un interessante esempio del genere so trova il località Pinea, presso Salbertrand. Un’altra importante ghiacciaia era presente a Quincinetto: in questo caso raccoglieva il ghiaccio proveniente dalla Valle d’Aosta.
    Anche a Torino vi erano delle grandi ghiacciaie (ancora oggi usate come deposito dai commercianti di Porta Palazzo): il primo nucleo fu costruito nella parte sotterranea di piazza Emanuele Filiberto, nell’ultimo tratto di via Sant’Agostino e via delle Orfane. In una pianta della città del 1753, le ghiacciaie sono indicate tra Porta Palazzo e la chiesa della Consolata. Notizie maggiormente dettagliate delle Regie Ghiacciaie risalgono al XIX secolo, quando l’intero sistema di refrigerazione venne restaurato. Da un progetto del 1821 apprendiamo che le ghiacciaie avrebbero dovuto essere portate da un’estensione di 2,51 tavole a 3,17, cioè ad oltre 120 metri quadrati. Dal progetto si evince che le ghiacciaie erano caratterizzate da una struttura tronco-conica con volta a cupola, a esse si accedeva dall’attuale piazza Carlo Emanuele Filiberto. La più grande delle tre (la centrale) aveva un diametro di circa undici metri e un’altezza di dodici; le altre due avevano entrambe un diametro e un’altezza di circa dieci metri.
    A un’altra ghiacciaia si accedeva da via Giulio, a differenza delle precedenti, questa era rettangolare. Dopo il 1822, quando fu aperto viale San Massimo (attuale corso Regina Margherita) le ghiacciaie furono trasformate: la primitiva funzione venne abbandonata e in esse furono realizzati i magazzini per i venditori del mercato di Porta Palazzo.
    Attualmente le ghiacciaie si trovano a 14,5 metri di profondità e risultano articolate su quattro livelli; le celle disponibili sono 157.
    Se facciamo ritorno alle montagne, scopriamo che il ghiaccio opportunamente conservato (era avvolto in tele di juta bagnate), proveniente dell’area alpina della nostra Provincia, era normalmente spedito fino a Massaua in Eritrea! Francamente facciamo un po’ di faticata a crederci, ma la fonte da cui apprendiamo tale informazione è autorevole: la “Rivista del Club Alpino Italiano” (1893).
    Per completezza ricordiamo che i luoghi in cui conservare il ghiaccio, a cui in genere attribuiamo il nome di ghiacciaia, in realtà non sono tutti uguali. Vi sono delle differenze importanti:

    ghiacciaia: bacino per la formazione del ghiaccio; neviera: sito naturale o artificiale in cui era collocata la neve per trasformarla in ghiaccio; conserva: luogo in cui era immagazzinato il ghiaccio.

    2 Commenti

    1. Complimenti per la ricerca e le fonti. Molto interessante. Dopo avere letto l’articolo ho finalmente compreso l’utilizzo di una di queste caverne situata a Vonzo, che è una bellissima località delle nostre valli di Lanzo, oggi frazione di Chialamberto. Per chi volesse gustare un paesaggio alpino meraviglioso consiglio questa gita fuori porta e sulla strada salendo a Vonzo non potrà mancare di essere attratto da questa caverna naturale credo oggi non utilizzata. Purtroppo nessuno dei turisti o dei pochissimi residenti in loco aveva saputo spiegarmi. Grazie

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