1916, contro lo scoglio dell’illusione

Cento anni dopo: continua il racconto della Grande Guerra

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Il 1916 è l’anno in cui le potenze europee impegnate nel conflitto abbandonano definitivamente l’idea di guerra veloce e di movimento per rassegnarsi ad una guerra di posizione e di logoramento dell’avversario. E’ anche l’anno delle grandi battaglie che impiegano gli eserciti in operazioni militari che si prolungano per mesi e mesi con irrilevanti conquiste territoriali. Milioni di soldati si fronteggiarono lungo i chilometri dei labirinti generati dalle trincee, sprofondati nella terra e preparati ad un ultimo assalto gli uni contro gli altri. La fiducia nel confronti di una vittoria finale quasi senza colpo ferire inizia a vacillare e i primi dubbi cominciano a corrodere gli ideali di patria e onore. E’ un anno tragico, il solo governo italiano dovette già fare i conti con oltre 250.000 tra morti, feriti e dispersi. Il 1916 è anche l’anno in cui il concetto di guerra totale diventa realtà. La guerra investe tutto e tutti. La sforzo bellico coinvolge la totalità della popolazione delle nazioni. I civili parteciparono alla guerra costruendo armi, munizioni, materiali e mezzi lavorando nell’industria pesante. E’ soprattutto l’anno delle grandi illusioni. Iniziava a serpeggiare la stanchezza tra le truppe e lo scollamento con il corpo di comando divenne inevitabile.

Fallita la manovra di aggressione ai fianchi dell’Impero austroungarico proveniente da una parte dall’Italia e dall’altra dai Balcani, le potenze dell’Intesa si concentrarono su impegnative e prolungate azioni militari di sfondamento frontale sulla Mosa, all’altezza della cittadina di Verdun, e sulla Somme, nella Francia settentrionale.

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Il 21 febbraio iniziò la battaglia di Verdun, simbolo della sconfitta francese da vendicare e la cui caduta in mano dei tedeschi durante la guerra franco prussiana del 1870 consentì la vittoriosa cavalcata teutonica. La tecnica della battaglia rispecchiò la logica dell’artiglieria che conquista e della fanteria che occupa. A fine aprile il fronte occidentale era avanzato a favore dei tedeschi in media di sette chilometri con un sacrificio umano di circa 300.000 uomini tra morti, feriti e prigionieri per parte. L’uso di gas tossici fu una pratica applicata di frequente per sfiancare la resistenza dei nemici. Il 19 dicembre si concludeva la battaglia di Verdun, che passò alla storia con il triste primato di essere stata la più sanguinosa battaglia di tutto il conflitto.

 

Da luglio a novembre gli inglesi, invece, concentrarono i loro attacchi sul fronte del bacino idrografico del fiume Somme ma anche in questo caso senza conquiste rilevanti e ad un costo elevatissimo in vite umane.

Nel 1916 Cadorna non era riuscito ad esaudire il proprio desiderio, quello di giungere a Lubiana e soprattutto a Vienna. La difesa da parte degli austriaci fu tenace anche perché godevano di una posizione più elevata e di conseguenza di più agevole controllo. Anche su questo fronte perciò i confini rimasero pressoché invariati. Il capo di Stato Maggiore austriaco, Franz Conrad, inseguiva il piano di eliminare immediatamente l’Italia dal conflitto e punire in questo modo l’italiano traditore. Questo spiegava il forte dispiegamento di truppe sui monti del Trentino sottraendo forze anche dall’Isonzo e dal fronte russo. 1500 bocche di fuoco e una linea di fortezze distesa tra Lavarone a Folgaria rappresentavano il punto di partenza dell’offensiva asburgica. Il 15 maggio 1916, con un mese di ritardo, partì la Strafexpedition (la spedizione punitiva), conosciuta anche come la battaglia degli Altipiani. Il piano strategico di Conrad era quello di sfondare sulla Valdastico in direzione Thiene-Vicenza in modo tale da cogliere alle spalle il grosso dell’esercito italiano di stanza sull’Isonzo. Dallo Stelvio alla Croda Granda era disposta la Prima Armata dell’esercito italiano. Come già avvenuto in altre battaglie vi fu un dissidio tra Cadorna e il comando locale, che aveva spinto i soldati oltre la linea difensiva dei forti e quindi in posizioni indifendibili. La disobbedienza del Gen. Roberto Brusati provocò la sua destituzione a favore del Gen. Guglielmo Pecori Giraldi. 

L’offensiva austriaca si addensò sull’altopiano dei sette comuni e gli italiani persero terreno, ritirandosi da diversi capisaldi. Il rientro di truppe dall’Isonzo e il rallentamento dell’offensiva austriaca provocò però il blocco della loro avanzata. A questo punto ripartì la controffensiva italiana. Tra gli episodi più tristemente famosi di questa riconquista italiana è la cattura e la successiva impiccagione di patrioti irredentisti come il tenente Cesare Battisti e il sottotenente Fabio Filzi.

L’unica vera vittoria italiana è la presa di Gorizia nell’agosto dello stesso anno. Questo evento sollevò il morale dei soldati. Verranno condotte altre operazioni sul Carso, ai fianchi del San Michele, ma la stanchezza della fanteria e il caldo soffocante ne fermarono i progressi. Il 26 agosto l’Italia dichiarò guerra anche alla Germania. Da marzo a novembre furono in totale cinque le battaglie combattute sull’Isonzo.

A livello politico l’incapacità del governo Salandra di gestire la guerra ne provocò la crisi e la successiva sostituzione con uno nuovo di unità nazionale guidato dal liberale Paolo Boselli. Cadorna aveva sempre agito in modo indipendente senza condividere le sue decisioni con il parlamento. Il Governo Boselli si presentò come una grande coalizione di interesse comunitario a cui fecero parte anche un deputato cattolico e due socialisti.

Mentre gli altri paesi avevano proclamato di difendersi dall’aggressione di altri stati, l’Italia era stata l’unica nazione che era entrata in guerra con obiettivi di conquista nei confronti dei territori irredenti. Questo spiegava l’insoddisfazione generalizzata sulla conduzione della guerra e la situazione che spingerà alla disfatta di Caporetto l’anno seguente.

Il cinema raccontò per la prima volta la guerra. Pellicole come Maciste Alpino, più una commedia che un film drammatico, metteva sullo schermo il sentimento patriottico, l’odio per il nemico e l’amore verso la propria terra.

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